Ma ora gli allevamenti tengono conto dei problemi etici

Redditività, produttività, qualità del prodotto, al limite amore per la vita rurale. I classici obiettivi di chi alleva in modo professionale animali da carne restano sempre quelli. Ma da qualche anno se n’è aggiunto un quinto, altrettanto potente nel determinare le scelte dell’imprenditore zootecnico: l’attenzione ai problemi etici. Ossia a problemi come il benessere animale, la riduzione dell’uso di farmaci veterinari, il contenimento dell’impatto ambientale dell’allevamento, il rispetto della dignità del lavoro dei collaboratori.

Spesso l’attenzione dell’allevatore nei confronti di queste problematiche non nasce solo dalla sua coscienza, ma anche da fattori esterni. Cioè dal mercato, perché come è noto un numero crescente di consumatori preferisce acquistare alimenti ottenuti osservando norme etiche nel ciclo produttivo. Oppure dalla Ue, che in tanti casi nel nome della “condizionalità” garantisce aiuti finanziari più ricchi alle aziende zootecniche che mettono in pratica questo tipo di orientamento produttivo.

Il benessere animale

Un caso di scuola è quello del benessere animale. Sino a pochi anni fa se ne parlava assai poco nella zootecnia da carne. Oggi è tutta un’altra situazione.

Negli allevamenti di bovini da carne, per esempio, è ormai diventata una necessità assicurare agli animali una giusta quantità di superficie e un giusto approvvigionamento di acqua e alimenti. Quella di proteggere vitelli, manzi, vitelloni e scottone dalle malattie, ma allo stesso tempo anche dall’antibioticoresistenza. Quella di evitare lo stress da caldo, ma anche di offrire riparo da vento freddo e parassiti. Quella di favorire gli atteggiamenti naturali dei bovini permettendo loro di socializzare e di pascolare. Quella di evitare trasporti di durata eccessiva o troppo esposti al caldo.

E negli allevamenti suinicoli è ormai un must la presenza dei cosiddetti arricchimenti ambientali, che andando incontro all’etologia dell’animale ne promuovono il benessere; così come sono accorgimenti ormai normali anche in suinicoltura la lotta allo stress da caldo o al sovraffollamento o ai trasporti più penosi. Per non parlare dell’avicoltura, con l’affermazione della campagna per il no alle gabbie e il sì all’allevamento a terra.

Non se ne avvantaggia soltanto l’etica. Benessere animale, infatti, significa anche migliore qualità delle carni e maggiore produttività dell’allevamento.

E poi c’è la grossa questione dell’impatto ambientale degli allevamenti zootecnici. Questione peraltro già affrontata con successo a suo tempo dall’Unione europea con la propria Direttiva nitrati, che ha obbligato le aziende zootecniche a preoccuparsi dell’inquinamento delle falde acquifere mettendo in atto piani di stoccaggio e di distribuzione al terreno delle deiezioni animali che hanno ben funzionato dal punto di vista ecologico.

Così, rivelatasi impraticabile l’accusa di inquinare le falde, i detrattori della zootecnia negli ultimi mesi hanno dovuto cambiare argomentazioni concentrandosi su altri tipi di accuse. Tra queste quella secondo la quale gli allevamenti contribuirebbero in modo pesante al riscaldamento globale a causa delle emissioni in atmosfera di gas con effetto serra, come l’anidride carbonica e il metano. La pubblicistica si è sbizzarrita su questa accusa, sino ad attribuire agli allevamenti percentuali esagerate di produzione di gas serra sul totale delle emissioni derivanti dalle varie attività umane.

Poi, però, lo studio Creating a Sustainable Food Future” (2016) del Word Resource Centre ha quantificato le emissioni di gas serra di tutte le principali attività umane: è emerso come le attività agricole contribuiscano solo per il 13% alle emissioni totali di gas serra derivanti da attività umane. Anche la Fao, nell’indagine “Livestock’s Long Shadow – Environmental Issues and Options”, riporta un contributo molto simile, pari al 18%. Mentre si stima (C.A. Sgoifo Rossi, 2019) che le attività umane connesse a trasporto e consumo di energia e combustibili con il 64% delle emissioni totali abbiano il primato nella produzione ed emissione di gas serra; il solo trasporto ne è responsabile per ben il 13,5%.

Ma la discussione sull’impatto ambientale della zootecnia, compresa la zootecnia da carne, più che una impostazione negativa (vale a dire doversi difendere dalle accuse di inquinamento) potrebbe averne una positiva: gli allevamenti stanno difendendo l’ambiente. In altre parole, l’impatto degli allevamenti sull’ambiente non è negativo, ma positivo.

È il caso della zootecnia bovina da carne realizzata nelle colline italiane: gli allevamenti di razze autoctone come la Piemontese, la Romagnola, la Marchigiana, la Chianina, la Maremmana, la Podolica riescono benissimo in collina dal punto di vista tecnico, anche e soprattutto lungo la dorsale appenninica. E, di conseguenza, mantengono in collina, territorio molto fragile in Italia, martoriato da dissesto idrogeologico, degrado e abbandono, la preziosissima presenza delle attività agro-zootecniche, che contrastano il degrado.

Giorgio Setti

Ma ora gli allevamenti tengono conto dei problemi etici - Ultima modifica: 2020-01-28T09:56:45+00:00 da Redazione Meat