Per il consumatore è di nuovo tempo di carne

Dopo anni di riduzione del mercato ed un atteggiamento critico nei confronti della carne, in particolare rossa, foraggiato dai media di massa che ne delineavano le caratteristiche meno salutistiche e, quindi, poco coerenti con il bisogno di rassicurazione associato al consumo dei prodotti freschissimi, l’analisi consumer dedicata al comparto recentemente realizzata da SgMarketing ci consegna il profilo di un consumatore nazionale che sembra aver ridimensionato il proprio giudizio negativo e riattivato la propensione al consumo. Implementata in modalità CAWI (Computer Assisted Web Interviewing), l’indagine ha coinvolto un campione di 1.000 shopper di prodotti alimentari acquirenti e consumatori di carne e salumi, rappresentativo della popolazione italiana, con l’obiettivo di comprenderne il vissuto ed il comportamento d’acquisto e consumo per le due categorie, ma anche gli elementi di freno e gli inneschi utili a supportarne la crescita, a partire dal punto di vendita. Di seguito le principali risultanze.

Il campione intervistato manifesta nei confronti della carne una propensione all’acquisto guidata dai due principali driver del food: è, infatti, il “gusto” la motivazione chiave che spinge quasi la metà del campione (45%) ad approcciarne il consumo, a cui fa seguito, per più di un terzo degli intervistati (36%), il tema del benessere quale espressione concreta di un vissuto positivo trasversale alle diverse fonti animali; vissuto che in questi anni ha sostenuto, in particolare, la crescita delle vendite di prodotti avicunicoli (a volume, la proteina più consumata in Italia). La presenza di carne 100% made in Italy (25%) e l’attivazione di tutti i percorsi che vanno nella direzione di garantire il prodotto in vendita (22%) si confermano, insieme alla versatilità nella preparazione (23%), elementi trainanti la categoria nel complesso. Siamo di fronte alla necessità di delineare i fattori a sostegno del consumo; in tal senso il tema della sicurezza alimentare assume un ruolo di primo piano. Per la carne, quest’ultima viene prioritariamente associata dal 36% dei rispondenti al prodotto proveniente da filiere nazionali (21%) e alle tipicità garantite Dop e Igp (15%). A seguire, con un’incidenza del 14%, il ruolo del mediatore di fiducia in vendita – il macellaio, ma anche l’insegna distributiva –, risposta concreta all’esigenza dello shopper di vedersi guidato nel miglior percorso di acquisto, a fronte di un esborso monetario che pesa per il 10% sul budget destinato ai prodotti alimentari (fonte: Ismea su dati Nielsen). Interessante segnalare, con un tasso di adesione pari all’11% sul totale intervistati, la rilevante sensibilità del consumatore al tema del benessere animale quale buona pratica di allevamento, in grado di influire positivamente sull’accrescimento del capo e, quindi, sulla palatabilità del prodotto finale. A completare il quadro, con quasi il 9% di citazioni, si colloca l’antibiotic free, seguito dalle informazioni in etichetta, utili ad accompagnare il processo di selezione, acquisto e consumo del prodotto.

L’attenzione riservata dal consumatore nazionale al processo produttivo si traduce nella ricerca di maggiore autenticità e naturalità, elementi resi evidenti dall’analisi che, da un lato, certifica una propensione prospettica crescente del campione nei confronti della carne al naturale, e, dall’altro, rileva un’attitudine all’acquisto di prodotto biologico in consistente aumento. Il 13% degli intervistati dichiara, infatti, che in un orizzonte temporale a tre anni consumerà esclusivamente carne organic, mentre tale incidenza, allo stato attuale, non supera il 4%. Stando alle dichiarazioni dei rispondenti, la penetrazione del segmento dovrebbe passare, in termini complessivi, dall’odierno 58% ad oltre l’80% nel 2022.

All’interno del reparto macelleria e/o sulle confezioni il consumatore vorrebbe prioritariamente ritrovare tutti gli elementi che, di fatto, connotano la dimensione agricola del prodotto carne. Dall’origine della materia prima, informazione rilevante per il 56% del campione, all’uso di antibiotici (52%), al metodo di allevamento praticato (52%), al dettaglio dei luoghi di nascita / allevamento / macellazione (52%), tutti item che sono nei desiderata di oltre la metà del campione intervistato, l’esigenza del consumatore è quella di vedersi raccontare la filiera produttiva in maniera rilevante, coerente e consistente.

Tali evidenze risultano ancor più strategicamente importanti se analizzate alla luce dei gap emergenti tra le informazioni utili a qualificare la spesa di carne e quelle effettivamente rilevate in-store o sul prodotto. L’analisi permette, infatti, di riconoscere nell’uso degli antibiotici (con oltre il 50% degli intervistati che ne vorrebbe evidenza, contro un 23% che ne registra la presenza), nel tipo di alimentazione praticata in fase di accrescimento dell’animale (50% la quota di rispondenti sensibile a questa informazione, rispetto al 22% che ne intercetta fattivamente la presenza) e nella sostenibilità dell’allevamento (tema rilevante per più del 41% del campione, ma percepito in chiave comunicazionale sul punto di vendita solo dal 19%), i contenuti di comunicazione utili migliorare l’esperienza d’acquisto in reparto.

Nella scelta del punto di vendita elettivo in cui acquistare carne, la freschezza, con una valutazione pari a 8,8 su una scala da 1 a 10, la presenza di prodotti antibiotic free (8,4) e locali (8,1), così come il rapporto qualità-prezzo (8,2) e l’ampiezza dell’assortimento (7,9), rappresentano elementi di qualificazione prioritari. Nella valutazione del prodotto “migliore per sé”, il consumatore elenca, quali determinanti d’acquisto, la fonte proteica (punteggio 8,3 su scala 1-10), associata alla tipologia di taglio (8,1) e al prezzo (8,1), a cui aggiunge la provenienza (8,1) e la modalità di allevamento (8,1), aspetti segnaletici di un approccio all’alimentazione più consapevole. Volgendo lo sguardo alle abitudini di consumo, emerge come l’84% del campione consumi attualmente carne a casa, durante i pasti principali, quale protagonista del piatto; dato, questo, atteso in riduzione di quasi 4 punti in un orizzonte a tre anni, a fronte di un potenziale incremento dei consumi extradomestici trainato dalla crescente penetrazione prospettica della carne sia come portata principale (dal 29% al 30% dei rispondenti), sia come ingrediente di ricette (dal 23% al 27%). Sulla base delle dichiarazioni espresse dagli intervistati, la carne consoliderà, inoltre, nel prossimo futuro il proprio ruolo di cibo conviviale, capace di intercettare la sfera sociale a livello familiare ed amicale, arrivando ad un tasso di diffusione, in occasione di ricorrenze, del 35% (rispetto all’attuale 31-32%).

Il quadro generale delineato restituisce il profilo di un consumatore sempre più orientato verso un consumo di carne informato, garantito ed espressione di percorsi votati all’autenticità; un consumatore consapevole, che sostiene la categoria anche in una prospettiva “fuori casa” e sempre di più nella propria peculiare dimensione edonistica.

Sono la ricerca del piacere di gusto, motivazione segnalata dal 53% del campione intervistato, e la versatilità nel consumo, con una quota che supera abbondantemente il terzo del campione (38%), le principali determinanti che spingono il consumatore finale all’acquisto nel mare magnum dell’offerta di salumi in Italia. Elementi coerenti con una categoria ben radicata nella mente degli italiani e verso la quale i rispondenti all’analisi manifestano l’esigenza di autenticità, con una ricerca di valore aggiunto legato al servizio assistito tipico del salumiere e alla qualità trasmessa dalla figura del produttore-allevatore.

Per via del vissuto consolidato, il consumatore intervistato priorizza i propri desiderata comunicazionali per i salumi, legandoli ai territori di produzione, alla tipicità (52%), alla regionalità (49%) e, più in generale, all’origine delle materie prime (38%). Elementi imprescindibili nella promozione del prodotto, a cui lo shopper sempre più richiede in affiancamento informazioni sui valori nutrizionali (31%) e sul processo produttivo. In questa direzione va rilevata la sensibilità del campione per le indicazioni relative alla tipologia di additivi ed insaporitori utilizzati (28%), al metodo d’allevamento praticato per l’accrescimento del capo (27%) e all’uso di antibiotici (23%). Nella scelta del punto di vendita fattori critici di successo sono quelli legati, da un lato, alla capacità di organizzare l’assortimento e l’esposizione per esaltare il percepito qualitativo del prodotto (la qualità dell’offerta è il primo parametro citato, con una valutazione di 8,4 su una scala da 1 a 10), grazie ad un adeguato mix che includa i segmenti a connotazione territoriale -salumi Dop-Igp in primis (8,1)-, e, dall’altro, all’abilità di veicolare una percezione complessiva di value for money (8,3), attraverso il pricing di lungo periodo (8,1) e le attività promozionali (7,9).

Passando alle determinanti di acquisto del prodotto, la survey permette di delineare un processo di scelta che, partendo dalla fonte proteica, si arricchisce dei fattori legati all’origine e alla dimensione economica dell’acquisto (prezzo e promozioni), tutti elementi valutati dagli intervistati con punteggi pari o superiori a 8. Ad essi si affianca, inoltre, l’aspetto quantità / grammatura delle confezioni, che consegue una valutazione di 7,8.

Nel contesto descritto, il banco servito riveste un ruolo strategicamente rilevante: è pari al 43% la quota di intervistati heavy user che effettuano oltre il 75% della propria spesa di salumi presso quest’area.

Salvo Garipoli e Raffaello Bernardi

Per il consumatore è di nuovo tempo di carne - Ultima modifica: 2020-03-04T09:00:34+00:00 da Redazione Meat