Carne bovina made in Italy. Il benessere è passato di qui

Gli ultimi 20 anni hanno rappresentato un periodo nero per il settore della carne bovina in Italia. I consumi, infatti, hanno subito una fortissima contrazione, passando dagli oltre 25 chili pro-capite a meno di 19 e certamente non per il fenomeno crisi ma, in particolare, per le tendenze salutiste, animaliste e ambientaliste che, con slogan e campagne sempre più pressanti e di impatto, attribuiscono all’allevamento la causa principale di tutti i mali, umani e ambientali.

Queste vicissitudini hanno messo gli allevatori italiani davanti a un bivio importante: produrre al più basso costo possibile, ricercando nell’aspetto economico la risposta alla riduzione di interesse verso il prodotto, oppure difendere strenuamente il sistema produttivo cercando di riconquistare il vero valore, sia di mercato sia d’immagine, della carne. Ed è proprio in quest’ultima direzione che gli allevatori italiani, forti di un bagaglio di tradizioni e di know-how che difficilmente trova eguali, si sono orientati con decisione, impegnandosi in percorsi in grado di elevare ulteriormente la qualità del prodotto finale. Una sempre più stretta collaborazione con il settore della ricerca scientifica, veicolata da Regioni e Università, ha consentito la pianificazione e l’attuazione di cambiamenti gestionali, strutturali e di comunicazione al consumatore in grado di fare ritrovare alla carne di qualità il suo giusto valore.

Il trend di acquisti e consumi annui di carne in Italia evidenziano, infatti, che il consumatore riconosce e apprezza questa riqualificazione del prodotto carne. Apprezzamento dimostrato dai dati di Coldiretti che evidenziano come il 45% degli italiani prediliga carni provenienti da allevamenti nostrani e come il 29% dei consumatori tenda a orientarsi su carni Dop (Denominazione di origine protetta) e Igp (Indicazione geografica protetta). Secondo Ismea, poi, tra il 2017 e i primi mesi del 2018 la spesa delle famiglie italiane per la carne bovina è aumentata di oltre il 5% (Fig. 1), con un incremento anche dei volumi acquistati, pari al 2,5%.

Il collegamento tra produzione interna e qualità è, quindi, sempre più forte e consacrato attraverso accordi di filiera basati su ferrei disciplinari di produzione che spaziano dal rispetto del benessere animale fino alla riduzione del consumo del farmaco, includendo inoltre aspetti peculiari di gestione nutrizionale e sostenibilità ambientale.

Tali modalità produttive offrono una “garanzia di qualità”, che giunge al consumatore attraverso simboli, marchi e pubblicità che oltre a definire la qualità del prodotto, svolgono anche l’importante ruolo di riaffermare un clima di fiducia tra il settore produttivo ed il consumatore, sempre più attento al valore della carne nella sua accezione più ampia e moderna e cioè non più solamente limitata alle percezioni salutistica e sensoriale, ma anche emotive.

L’aumento dei capi allevati e macellati in Italia, riportato da Ismea Mercati, rispetto all’importazione dall’estero di carne e di bovini pronti per il macello, è un chiaro esempio di come il consumatore manifesti una maggiore fiducia nei prodotti provenienti dagli allevamenti italiani. Tale fiducia scaturisce anche dalla sempre più corposa divulgazione di evidenze e informazioni che attestano la veridicità degli sforzi intrapresi dalla filiera carne Italiana.

Obiettivo antibiotici

Il consumo di antibiotici nel settore zootecnico è certamente uno dei principali fattori critici per il consumatore. Tipo di antibiotico e modalità di utilizzo in zootecnia (profilassi, metafilassi, terapia) sono, infatti, ritenuti fattori cruciali nel fenomeno dell’antibiotico-resistenza e per tale motivo indagati dalle autorità politiche e sanitarie nazionali, europee e anche mondiali in maniera approfondita. Proprio con tale scopo nel 2009 è nato il progetto Esvac (European surveillance of veterinary antimicrobial consumption) volto a monitorare il consumo e le vendite di agenti antimicrobici in medicina veterinaria al fine di fronteggiare e limitare le antibiotico-resistenze. A tal riguardo, dall’ultimo report (2016), l’Italia risulta terza in Europa per consumo di antibiotici con una media di 294 mg/pcu (population correction unit), ma tale posizione non deve certamente fare preoccupare i produttori di carne bovina e tanto meno i consumatori.

Il dato dell’Esvac contempla infatti tutte le realtà zootecniche (bovini da carne, bovini da latte, suini, avicoli, ecc.) che sono caratterizzate da animali con caratteristiche, e relativo rischio sanitario, profondamente differenti.

L’allevamento del bovino da carne si basa cioè sull’ingrasso di bovini nati in condizioni tutt’altro che intensive e che pertanto nella fase maggiormente a rischio per la loro salute, vale a dire nella fase neonatale, non richiedono trattamenti di antibiotico-profilassi o interventi terapeutici importanti per compensare limiti ambientali, e quando vengono spostati negli allevamenti specializzati nell’ingrasso, a più di sei mesi di vita, la loro maturità gli conferisce una potente capacità adattativa e di risposta agli stress limitando fortemente i rischi sanitari. È comunque ovvio che gestione e strutture possono ulteriormente limitare gli aspetti negativi inevitabilmente connessi a un viaggio e a un cambiamento di condizioni sociali e ambientali. Proprio in questo senso sono stati compiuti grandi sforzi negli allevamenti italiani negli ultimi anni.

Da un recente studio effettuato su un elevato numero di bovini da carne, di derivazione sia francese che italiana, suddivisi in allevamenti con tre diversi livelli di gestione, è proprio emerso come il consumo di antimicrobici sia decisamente inferiore a quello medio riportato dall’Esvac e significativamente influenzato dalle modalità e caratteristiche degli allevamenti. Si parla di 63,83 mg/pcu nelle realtà caratterizzate da gestione e strutture buone, ma comunque ulteriormente migliorabili, fino a 9,71 mg/pcu in presenza di condizioni e con oltre il 90% di animali che non richiede cure sanitarie.

A tal riguardo è importante sottolineare che l’obiettivo “situazione ottimale” non è assolutamente un obiettivo irraggiungibile o insostenibile da un punto di vista economico. A volte si tratta solo di conoscere le criticità del proprio allevamento e attuare di conseguenza le corrette prassi operative in grado di affrontare e gestire in modo efficace tali criticità.

Questo è stato per l’appunto l’obiettivo di diversi progetti – alcuni conclusi di rcente, altri ancora in essere – sviluppati sul territorio nazionale con la partecipazione di strutture di ricerca di eccellenza (Università, Istituti zooprofilattici, Crpa), di istituzioni e associazioni di allevatori e sempre più spesso promossi dal comparto produttivo. Aspetto che evidenzia la grande voglia e volontà degli allevatori italiani di distinguere la propria carne e le modalità con cui essa viene prodotta. Questa l’immagine attuale della filiera produttiva italiana, un comparto che ha perfettamente compreso l’importanza del suo ruolo, della carne come alimento essenziale per l’uomo e della necessità di dare al consumatore eccellenza e chiarezza.

Valore nutrizionale e sostenibilità ambientale, cosa c’è dietro

Altri due capi saldi della qualità per il consumatore sono, senza dubbio, il valore nutrizionale e la sostenibilità ambientale. La gestione alimentare degli animali è certamente l’aspetto che maggiormente influisce e influenza tali aspetti e anche in questo caso la filiera italiana è già da anni impegnata nell’individuare piani alimentari in grado di migliorare le caratteristiche composizionali della carne e di ridurre l’impatto ambientale. Sempre più diffusi sono infatti gli approcci dietetici mirati a elevare il contenuto di omega-3, a ottimizzare il rapporto omega-6/omega-3 e a ridurre il contenuto di colesterolo e della frazione satura degli acidi grassi.

È oramai dimostrato che la somministrazione di semi di lino o di grassi ricchi in acido linolenico, sia in grado di elevare di oltre il 250% il contenuto totale di omega 3 nella carne (Fig 3).

Il miglioramento della qualità attraverso la gestione nutrizionale degli animali in allevamento non si limita però ai soli aspetti salutistici ma si estende anche alle caratteristiche tecnologiche e sensoriali elevando shelf life (durata in frigorifero), colore e tenerezza, principali responsabili del “gradimento” del consumatore. Ne è un esempio la somministrazione di selenio, specie nella sua forma organica che oltre a migliorare la salute dei bovini, riducendo conseguentemente e significativamente l’utilizzo degli antimicrobici, prolunga la conservabilità della carne ed eleva il suo valore nutrizionale.

Queste strategie, che a oggi – e sia chiaro – non sono assolutamente di pochi in Italia ma, al contrario, ampiamente diffuse, sono pertanto in grado di dare origine a un prodotto non solo buono e gustoso all’assaggio, ma anche funzionale per l’uomo perché ricco di componenti bioattivi dall’elevato valore salutistico.

L’alimentazione svolge, poi, un ruolo importante sull’impatto ambientale dell’allevamento bovino. Le fermentazioni ruminali e i processi digestivi sono i principali agenti che portano alla formazione di quelle sostanze inquinanti che risultano particolarmente critiche per l’ambiente. E anche in questo caso l’Italia si distingue per il diffuso utilizzo di modulatori, assolutamente naturali come lieviti e oli essenziali, in grado di ottimizzare l’efficienza digestiva e ridurre le emissioni dannose per l’ambiente. Ma con lo stesso obiettivo si curano anche gli aspetti più basali legati alla produzione degli alimenti destinati ai bovini, come le modalità produttive e la lavorazione dei prodotti, dall’insilamento, alla pulitura, conservazione, macinazione, e fioccatura, in modo da ottimizzare l’efficienza digestiva e conseguentemente ridurre l’impatto ambientale.

Intanto, approcci che hanno persino portato alcuni imprenditori italiani a distinguersi a livello mondiale riguardano l’ambiente, come la ventilazione mediante destratificatori in grado di ridurre in maniera sorprendente il consumo idrico e di paglia e di migliorare in maniera ancora più straordinaria il benessere animale, o la somministrazione di acqua a temperatura costante per limitare i disordini o le inefficienze digestive o il mantenimento attraverso impianti di illuminazione innovativi interfacciati con l’ambiente esterno di una luminosità adeguata nelle strutture di stabulazione in grado di ottimizzare la fisiologia degli animali.

In Italia è stato anche messo a punto uno strumento portatile (Nir Polispec), in grado di indicare istantaneamente le caratteristiche composizionali dei diversi alimenti zootecnici e persino delle deiezioni in modo da individuare, direttamente in allevamento, i punti critici della gestione nutrizionale con riflessi importantissimi sia sul benessere animale, sia sull’impatto ambientale dell’allevamento oltre che sul bilancio dell’impresa zootecnica.

Il benessere animale prima di tutto

Il benessere animale è indiscutibilmente l’aspetto più importante in un sistema produttivo sostenibile. Benessere e, conseguentemente, salute devono essere infatti i principali obiettivi intorno ai quali ruota la realtà aziendale e anche in questo caso gli allevatori italiani, con soli pochi altri paesi in Europa, si distinguono senza dubbio. Oltre ad alcuni degli aspetti già in precedenza citati, l’Italia dell’allevamento del bovino da carne si confronta oramai quotidianamente con le rigorose indicazioni del Centro di referenza nazionale per il benessere animale (Crenba), trovando giorno dopo giorno lo stimolo di raggiungere non solo i requisiti di normalità, ma quelli di eccellenza, in quanto ad essi corrisponde un deciso e significativo miglioramento della crescita, della qualità della carne e delle condizioni di salute degli animali con una conseguente riduzione dell’utilizzo degli antimicrobici.

In definitiva, se ci si pone la domanda “ma il consumatore italiano può avere una giustificata fiducia nella carne prodotta nei nostri allevamenti?” la risposta non può essere che un incontrovertibile e dimostrabile “sì”. E girare il mondo con un occhio zootecnico attento a riguardo, non può che riempirci di soddisfazione per “come” e “cosa” produciamo.

di Silvia Grossi, Riccardo Compiani, Gianluca Baldi, Carlo Angelo Sgoifo Rossi

Carne bovina made in Italy. Il benessere è passato di qui - Ultima modifica: 2020-01-30T09:00:11+00:00 da Redazione Meat