Un brand unico per la zootecnia italiana

Nonostante il leggero incremento della produzione nazionale, la carne bovina italiana copre solo il 53% dei consumi interni, lasciando ancora scoperta una rilevante quota di mercato. È da questo dato che parte Giuliano Marchesini, direttore del Consorzio Sigillo Italiano, per spiegare la validità e l’urgenza di sviluppare il progetto di un marchio unico e identificativo della produzione zootecnica nostrana, partendo proprio dalla filiera più deficitaria, ma con l’obiettivo di estenderlo anche a tutte le altre.

A poco tempo dall’istituzione del Consorzio, sono già circa 850 gli allevamenti aderenti con una produzione di circa 330mila capi bovini. “Praticamente, una bistecca su due che acquistiamo al supermercato è di provenienza straniera -afferma Marchesini- e il consumatore fatica a riconoscere la carne prodotta dagli allevatori italiani perché è unbranded e questo non favorisce l’acquisto d’impulso. A ciò si aggiungono le campagne che disincentivano il consumo di carne, in particolare quella bovina, da parte di vegani, ambientalisti, animalisti e di alcuni nutrizionisti. Consolante il fatto che, nonostante il clima di chiusura che si registra nei confronti del settore, i consumi tengano se non addirittura, di poco, aumentino”. Nel settore bovino l’Italia dipende dall’estero anche per i ristalli. Gli allevatori italiani di bovini da carne importano quasi un milione di ristalli, l’82% dei quali dalla Francia, con un esborso annuo di oltre un miliardo di euro, poiché il patrimonio di vacche nutrici in Italia è di circa 380mila capi tra Piemontesi, Marchigiane, Chianine, Romagnole, Podoliche e incroci vari, mentre in Francia hanno una mandria di oltre 4,3 milioni di vacche. “Questo è un altro aspetto che ci vede impegnati sul fronte della filiera 100% Italia. Stiamo lavorando con gli allevatori di bovini da latte italiani per aumentare la produzione di vitellini da carne da avviare all’ingrasso”.

Per quanto concerne le ambizioni, “nel breve periodo abbiamo due obiettivi: il primo è fare decollare il Consorzio Sigillo Italiano per far riconoscere al consumatore le produzioni di qualità dei nostri allevatori. Potranno fregiarsi del marchio solo le produzioni certificate Sistema qualità nazionale zootecnia (Sqnz), il regime di qualità volontario europeo. Inoltre il Consorzio è riconosciuto dal Mipaaft con apposito decreto ministeriale e da una serie di disciplinari di produzione certificata che saranno proposti alla grande distribuzione con le denominazioni: Vitellone e/o Scottona ai cereali, Fassone di razza Piemontese, Bovino Podolico al pascolo, Uovo+ Qualità ai cereali. In arrivo a breve i disciplinari di produzione dell’Acquacoltura sostenibile di qualità e del Vitello al latte e cereali”.

Il secondo obiettivo è rendere operativa l’Interprofessione della carne bovina, portando al riconoscimento di Intercarneitalia, che ha già recentemente presentato domanda al ministero, per coinvolgere nel progetto tutta la filiera, ovvero produzione, trasformazione e distribuzione. Una volta ottenuto il riconoscimento e dimostrata la rappresentanza del 66% della produzione, potranno essere applicate erga omnes le regole vincolanti per tutta la filiera e si potranno raccogliere fondi privati per finanziare progetti per la zootecnica di qualità.

Sull’interesse riscontrato presso la grande distribuzione c’è cautela. “Presenteremo il marchio a tutti i player della gdo. Confidiamo di ottenere riscontri positivi poiché l’inserimento delle produzioni Consorzio Sigillo Italiano rappresenta anche per le insegne un plus notevole verso i consumatori, stimolandoli all’acquisto di carne nazionale. Il marchio favorirà l’individuazione della carne italiana sui banchi al taglio o tra le vaschette preconfezionate in atm o in skin. E una comunicazione semplice e veritiera informerà i consumatori su cosa certifica in termini di benessere animale, uso di farmaci e qualità dell’alimentazione e altri parametri previsti nei disciplinari, migliorando le performance e la redditività dei punti di vendita”.

Remunerazione

Uno dei motivi per cui gli allevatori italiani non producono carne è la scarsa remuneratività. Il progetto, pertanto, mira anche a redistribuire valore lungo la filiera, per evitare che l’anello più debole, l’allevatore, paghi le inefficienze degli altri, chiuda le stalle e costringa il Paese ad aumentare le importazioni dall’estero. “La qualità e la quantità dei controlli sanitari nel nostro Paese non hanno uguali e i consumatori lo sanno”.

Jessika Pini

Un brand unico per la zootecnia italiana - Ultima modifica: 2020-02-14T09:00:55+00:00 da Redazione Meat